Troverete nell'articolo le coordinate ermeneutiche relative al frazionamento giudiziale del credito , se sia possibile proporre domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, sino all'ultima sentenza delle Sezioni Unite 4090 del 2017.
v Sezioni Unite n. 108 del 10 aprile 2000
I
giudici di legittimità affrontano e risolvono il seguente contrasto
giurisprudenziale:
1) Indirizzo negativo: il frazionamento giudiziale del credito contrasta con la clausola generale di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., dando luogo alla violazione del divieto di abuso del diritto perché domanda non supportata da un interesse creditorio oggettivamente apprezzabile e meritevole di tutela;
2) Indirizzo positivo: il creditore ha facoltà di chiedere un adempimento parziale (argomento evincibile dall’art. 1181 c.c.) e l’eventuale aggravio di spese giudiziali sarebbe superabile attraverso il meccanismo della mora credendi, con l’offerta dell’intera somma dovuta, o mediante una domanda di accertamento negativo del credito;
In
particolare, la Suprema Corte avalla l’orientamento positivo scardinando gli
argomenti sostenuti dall’opposta tesi negativa e, cioè:
- art. 1181 c.c.: non esclude il potere di
accettare un adempimento parziale, anche in sede giudiziale;
- art. 1453 c.c.: non limita la possibilità per il
creditore di chiedere un adempimento parziale;
- artt. 277 comma 2 e 278 comma 2 c.p.c. : non si
applicano quando la domanda è stata proposta con un contenuto più ridotto;
- assenza di interesse del creditore: c’è
interesse creditorio perché, così facendo, si stimolerebbe un adempimento
spontaneo da parte del debitore sul debito residuo e si definirebbe un accertamento
con effetto di giudicato sull’esistenza del rapporto debitorio.
In
via conclusiva, gli Ermellini enunciano il seguente principio di diritto:
“è ammissibile la domanda giudiziale con la
quale il creditore di una determinata somma, derivante dall'inadempimento di un unico rapporto, chieda un
adempimento parziale, con riserva di azione per il residuo, trattandosi di un
potere non negato dall'ordinamento e rispondente ad un interesse del creditore,
meritevole di tutela, e che non sacrifica, in alcun modo, il diritto del
debitore alla difesa delle proprie ragioni”.
v Sezioni Unite n. 23726 del 15 novembre 2007
I
giudici della Suprema Corte di Cassazione si trovano a riaffrontare la seguente
questione di massima importanza: “se sia
consentito al creditore chiedere giudizialmente l'adempimento frazionato di una
prestazione originariamente unica,
perché fondata sullo stesso supporto”.
Ebbene,
ribaltando le conclusioni affermate con la sentenza precedente, i giudici delle
Sezioni Unite rilevano innanzitutto la presenza di un mutato quadro normativo;
difatti, da un lato, esso sarebbe orientato ad una valorizzazione del principio
di buona fede oggettiva e della correttezza, il cui fondamento si rinverrebbe
nei doveri inderogabili di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., dall’altro lato,
risulterebbe coerente con i principi del giusto processo di cui all’art. 111
Cost.
Quindi,
la pronuncia de quo fa leva sulla
necessità di funzionalizzare anche il rapporto obbligatorio alla tutela dei
valori della persona, e, in particolare, alla tutela dell’interesse del partner negoziale.
Invero,
si dovrebbe evitare di arrecare pregiudizio alla posizione debitoria, prolungando
il vincolo coattivo e aggravandolo di spese ed oneri per le molteplici
opposizioni, con l’ulteriore rischio di creare giudicati contraddittori.
Pertanto,
gli Ermellini affermano il seguente principio di diritto:
“è contraria alla regola generale di
correttezza e buona fede, in relazione al dovere inderogabile di solidarietà di
cui all'art. 2 Cost., e si risolve in abuso del processo (ostativo all'esame
della domanda), il frazionamento giudiziale (contestuale o sequenziale) di un credito unitario”.
v Sezioni Unite n. 26961 del 22 DICEMBRE 2009
I
giudici di legittimità, dando continuità alle conclusioni della precedente
pronuncia, ricavano dall’art. 1181 c.c. la considerazione per cui la
prestazione deve essere adempiuta nella sua interezza, adempimento coerente ai
canoni di correttezza ex art. 1175 c.c. e buona fede oggettiva ex art. 1375
c.c.
Pertanto,
le Sezioni Unite enunciano il principio per cui “l'adempimento di una
obbligazione pecuniaria, nascente da un unico rapporto di lavoro, deve essere eseguito in una unica
soluzione non potendosi ritenere consentito un mutamento di termini e modalità
genetiche nel momento in cui il detto rapporto trova la sua esecuzione”.
Il
caso oggetto di controversia:
L’ex
dipendente di una società automobilistica agiva in giudizio per ottenere la
rideterminazione del TFR tenendo conto di alcune voci retributive percepite in
via continuativa.
In
seguito alla sentenza passata in giudicato, l’ex dipendente proponeva domanda di
ricalcolo del premio fedeltà con inclusione dello straordinario prestato a
titolo continuativo.
La
questione rimessa alle Sezioni Unite:
“Se una volta cessato il rapporto di lavoro,
il lavoratore debba avanzare in un unico contesto giudiziale tutte le pretese creditorie che sono
maturate nel corso del suddetto rapporto o che trovano titolo nella
cessazione del medesimo e se il frazionamento di esse in giudizi diversi
costituisca abuso sanzionabile con l’improponibilità della domanda”.
Le
motivazioni:
Il
caso di specie, diversamente rispetto a quelli oggetto delle pronunce
precitate, ha ad oggetto diversi crediti scaturenti da un unico rapporto di
durata e non riguarda, invece, un singolo
credito frazionato.
Parte
della dottrina e della giurisprudenza affermano che una pluralità di crediti
relativi al medesimo rapporto di durata deve necessariamente essere azionata
nello stesso processo.
Tuttavia,
rilevano gli Ermellini, la disciplina processuale sembra orientata a
conclusioni opposte.
Difatti,
essi evidenziano che:
1. il
sistema processuale permette di proporre in tempi e processi diversi domande di
recupero di crediti distinti facenti capo ad un unico rapporto di durata;
invero, argomenti a sostegno di tale tesi si ricavano dagli artt. 31, 40, 104
c.p.c., dalla possibilità di condanna generica, dall’accertamento pregiudiziale
con efficacia di giudicato ex art. 34 c.p.c. e, infine, dall’elaborazione in
tema di estensione oggettiva del giudicato;
2.
una generale previsione d’improponibilità di una seconda domanda per un diverso
credito scaturente dal medesimo rapporto comporterebbe inevitabilmente un
aggravio sulla posizione creditoria (ad esempio per la perdita della possibilità
di agire in via monitoria per quei crediti dotati di prova scritta), a scapito
dell’economia processuale, considerato anche che l’onere della prova per i
singoli crediti potrebbe maturare in tempi diversi;
3. vi
sarebbe, pertanto, una violazione del principio di economia processuale, quale
principio di proporzionalità nell’uso della giurisdizione;
4.
la disciplina processuale citata, a
contrario, consente inoltre una trattazione unitaria delle domande, qualora
vi sia il rischio di duplicazioni istruttorie e decisorie, evitando una conoscenza
parziale della realtà da parte del giudice e favorendo la giustizia
sostanziale, la ragionevole durata del processo e la stabilità dei rapporti.
Quindi,
sulla base di tali considerazioni, i giudici di legittimità ammettono che,
qualora la domanda riguardi il medesimo
ambito oggettivo del precedente giudicato ovvero il credito sia fondato
sullo stesso fatto costitutivo, il
creditore possa proporla separatamente purché abbia “un oggettivo interesse al frazionamento”.
Invero,
l’attuazione del giusto processo dipende anche dal comportamento delle parti
processuali: l’attore deve darne attuazione attraverso un esercizio responsabile
del diritto di azione poiché l’interesse ex art. 100 c.p.c. si riferisce anche
alle “modalità” di proposizione della domanda.
Il principio di diritto:
Gli
Ermellini, rigettando il ricorso sul presupposto che i crediti azionati non
ricadono né nel medesimo ambito oggettivo del giudicato né sono fondati sullo
stesso fatto costitutivo, enunciano il seguente principio di diritto:
“Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito,
anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono
essere proposte in separati processi. Se tuttavia i suddetti diritti di
credito, oltre a far capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse
parti, sono anche , in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo
di un possibile giudicato o comunque “ fondati” sul medesimo fatto costitutivo -
sì da non poter essere accertati separatamente se non a costo di una
duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della
conoscenza di una medesima vicenda sostanziale -, le relative domande possono
essere proposte in separati giudizi solo se risulta in capo al creditore agente
un interesse oggettivamente valutabile
alla tutela processuale frazionata. Ove la necessità di siffatto interesse
( e la relativa mancanza) non siano state dedotte dal convenuto, il giudice che
intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ai sensi
dell’art. 183 c.p.c. e, se del caso, riservare la decisione assegnando alle
parti termine per memorie ai sensi dell’art. 101 comma 2 c.p.c.”.
v Considerazioni conclusive:
La
pronuncia da ultimo citata, diversamente rispetto all’elaborazione
giurisprudenziale precedente, si è occupata della possibilità di proporre, in
differenti giudizi, diverse domande volte al recupero di distinti crediti
facenti comunque parte del medesimo rapporto complesso.
Non
ha riguardato, invece, la possibilità di frazionare la domanda per la ripetizione
di un unico credito, questione sulla quale si è consolidato l’orientamento
affermato a partire dalle Sezioni Unite del 2007.
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