Il
danno non patrimoniale è sempre stato un danno difficile che, nel tempo, ha
subito mutamenti che hanno capovolto gli
orientamenti giurispridenziali. In particolare,
il danno tanatologico, che
consiste nelle conseguenze patite dalla vittima a causa di un illecito da parte
di un terzo, per molto tempo è stato ritenuto non risarcibile nella sua
accezione di danno da morte puro, mentre si è ritenuto meritevole di ristoro, i
riflessi morali che possono patire gli eredi della vittima. E’ quanto si legge
nelle famose sentenze gemelle della Cassazione in S.U. (26972/2008;26973/2008)
le quali, dopo aver distinto nettamente il danno patrimoniale ex art. 2043 c.c.
dal danno non patrimoniale 2059 c.c., hanno definito le varie categorie di
danno biologico, danno per morte, danno esistenziale ecc., stabilendo così la
risarcibilità dei danni morali agli eredi, ove sussista effettivamente un
pregiudizio.
Recentissimo,
invece, lo slancio giursisprudenziale verso un orientamento meno restrittivo.
La Cassazione ha statuito che la risarcibilità
del danno da morte, è riconosciuto agli
eredi della vittima anche se la morte sia stata immediata, senza più il
necessario patimento da parte della vittima (Cass. Civ. sentenza n. 1361/2014).
In sostanza, non è più elemento indefettibile ai fini risarcitori, il
trascorrere di un lasso di tempo apprezzabile in termini di sofferenza da parte
della vittima. Già prima di questa inversione giurisprudenziale, vi era una
parte della dottrina, benchè minoritaria, che propugnava la tesi a favore della
risarcibilità del danno da morte immediato.
La
base sulla quale si difendeva la tesi in parola, era l’ irragionevolezza di ristorare
lesioni, anche lievi, in nome del diritto alla salute e negarlo invece al
diritto alla vita, che risulta essere, di certo, il più importante tra i
diritti.
Con l’ordinanza n. 5056 del 4 marzo
2014, la Cass. Civ., Sez. III (in relazione al caso di un decesso avvenuto 3 ore
dopo un sinistro stradale), aderendo all’orientamento favorevole al danno da
morte immediato, ha deciso di investire,
in subiecta materia, le S.U. con l’auspicio che si riesca a dipanare la
difficile matassa del danno tanatologico.
Al
momento, le novità più rilevanti quindi appaiono essere le seguenti: il diritto
da perdita di vita è un danno in re ipsa,
una categoria a sé rispetto al danno esistenziale, al danno catastrofico, al danno
biologico; il diritto al ristoro si acquisisce dalla vittima immediatamente, al
momento della lesione mortale, quindi anteriormente all’esito, in pieno
contrasto con la tesi ormai consolidata della risarcibilità del
danno-conseguenza (c.d nesso di causalità giuridico) e che deve essere intesa
come eccezione alla regola; in termini di liquidazione, il danno de quo, non essendo contemplato nelle
Tabelle del Tribunale di Milano, è rimessa alla discrezionalità del giudice di
merito.
Per
la Corte, infatti “la perdita della vita non può lasciarsi, invero, priva
di tutela civilistica, poiché il diritto alla vita è altro e diverso dal
diritto alla salute, così che la sua risarcibilità costituisce realtà
ontologica ed imprescindibile eccezione al principio della risarcibilità dei
soli danni conseguenza".
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