Esame di stato avvocato
Già dalla mattina prima di entrare,
in quelle file interminabili si sentono i racconti più svariati tra chi l'ha fatto mille volte ed è ancora lì che ti spiega che è solo questione di fortuna.
Tu non ci vuoi credere, non puoi accettare che quello che hai fatto non basti. Ci deve essere una spiegazione. Magari queste persone non sono così brave come sembrano. Si, deve essere così. Come potrebbero permettere una cosa del genere.
Poi entri ed esci per tre volte, e trovi un po' di tutto.
Chi è lì armato dei più svariati appunti, ma tutti con almeno un telefono.
Chi sta lì e chiacchiera per almeno tre o quattro ore, perché qualcosa arriva sempre.
Chi per le prime sei ore fa la prima traccia, ma poi consegna la seconda.
Chi tra i consigli non sempre lineari dei commissari cerca, suo malgrado, di farlo da solo.
Chi si unisce in gruppo, perché l'unione fa la forza.
Chi esce dall'aula col telefono in mano a chiedere consigli e viene espulso chiedendosi perché?!
Chi fa il giro delle aule a salutare i compagni degli anni scorsi.
Chi ti dice che fare questo esame non è altro che staccare un biglietto della lotteria e che solo dopo averlo fatto inizia il difficile, cominciare a sperare.
Chi ti racconta che l'anno scorso la compagna di banco s'è copiata solo due delle tre pagine, ha pianto fino a giugno, ma lei l'ha passato lo stesso.
Se chiudo gli occhi mi sembra ancora di stare là, in quel banchetto, stretto come una sardina tra una traccia d'esame, fogli a righi timbrati a colori e la voglia di capirci qualcosa.
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